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J. Cole – KOD

2018 - Dreamville / Roc Nation / Interscope
hip hop

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Tracklist

1. Intro
2. KOD
3. Photograph
4. The Cut Off (feat. kILL edward)
5. ATM
6. Motiv8
7. Kevin’s Heart
8. Brackets
9. Once an Addict (Interlude)
10. Friends (feat. kILL edward)
11. Window Pain (Outro)
12. 1985 (Intro to “The Fall Off”)


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Lo scarso seguito di cui J. Cole gode da questa parte dell’Atlantico ha dell’inspiegabile. Non solo il ragazzo ha dalla sua stile, tecnica e flow uniti a buon gusto nella scelta delle produzioni, spesso firmate in prima persona, ma riesce a coniugare il tutto alla stesura di testi pregni di spunti di riflessione interessanti. Ben lungi dall’essere un predicatore il rapper del North Carolina rappresenta qualcosa cui l’hip hop del terzo millennio ci sta purtroppo disabituando: un individuo intelligente e dotato di senso critico.

Proseguendo con la scelta di portare i propri lavori fino in fondo senza avvalersi di alcun contributo esterno (il fantomatico kILL edward che fa ogni tanto capolino è egli stesso con la voce lasciata a un pitch più basso), “KOD” restituisce un Cole in forma smagliante sia sul versante lirico che su quello musicale. Album fortemente trap tanto nell’estetica – minimale e ripetitiva – quanto nei contenuti, incentrati perlopiù sulla santissima trinità droga, soldi e sesso. Entrambe le prospettive vengono però ribaltate: la prima con il ricorso a una moltitudine di sample jazz e soul in luogo delle consuete soluzioni sintetiche mentre la seconda evitando accuratamente di santificare suddetto trittico ma pure di parlarne in maniera eccessivamente bacchettona.

Vari sono i significati attribuibili alla sigla che funge da titolo: Kids On Drugs, King OverDosed e Kill Our Demons. Di fatto si tratta di un concept album il cui filo conduttore – come intuibile sin dal coloratissimo e inquietante artwork – è la disamina di un’America in cui, dagli adolescenti alle persone adulte, molti sono i soggetti propensi a sviluppare qualche tipo di dipendenza. L’assunto su cui l’intero discorso si basa ricorre più volte tra una traccia e l’altra: Life can bring much pain. There are many ways to deal with this pain. Choose wisely”.

Parte la title track e l’impressione di avere a che fare con uno dei migliori nel suo campo inizia a farsi strada. Pochi altri all’interno del rap game riescono a combinare tanto bene cura formale e perizia tecnica con acume e senso dell’umorismo. Su una produzione dal sound freschissimo Cole prende amabilmente in giro le nuove leve, più impegnate a ostentare una vita di stravizi e sfoggiare outfit appariscenti che a produrre buona musica. Ma qui come nella bellissima 1985 – di stampo più classico – sottolinea come il problema non sia essere giovani e perennemente in vena di far festa, come non manca di ammettere di essere stato egli stesso a suo tempo. Il fatto è che quando anche il trend della trap sarà passato, come tutti quelli che l’hanno preceduto, solo chi è dotato di sufficiente spessore artistico potrà sperare di continuare a fare della musica la sua professione.

L’analisi di tutte le problematiche legate all’abuso di sostanze passa anche dal vissuto personale. Once An Addict è vivida polaroid di un periodo in cui tornava a casa dal college, solo per accapigliarsi con la madre alcolizzata. Il finale cantato rende il dolore quasi palpabile, dando la sensazione di essere al cospetto di emozioni troppo personali per essere rese pubbliche. Qua e là ma specialmente in The Cut Off, lucida risposta alla slealtà di alcune persone che lo circondavano, viene lasciato intendere come anche l’autore in passato si sia ingenuamente abbandonato ai piaceri degli stati d’alterazione cercando una facile via di fuga dai propri travagli.

Si avvertono poi grande amarezza nella constatazione della virtualità dei sentimenti ai tempi dei social media (Photograph), la consapevolezza che quella per il sesso non sia poi così dissimile alle altre monomanie (Kevin’s Heart) e un senso d’impotenza davanti al fatto il denaro in una certa misura, abbia finito per dare alla testa anche a lui (ATM e Motiv8). Ogni traccia si amalgama armoniosamente con le altre concettualmente e musicalmente. Il ricorso reiterato a groove ridotti all’osso e campioni rarefatti, alla lunga potrebbe risultare stancante ma la durata contenuta e l’assenza di cadute di tono rendono il tutto molto scorrevole e digeribile.

KOD” è molto più di un’invettiva moralista o di una semplice cronaca. Scandaglia gli abissi della fragilità umana evitando accuratamente conclusioni semplicistiche e j’accuse lapidari. Non si pone al di sopra degli altri ma li invita, con la consapevolezza che nasce dall’esperienza, a guardare oltre le inevitabili brutture della vita. Quanto alla sua collocazione nel variegato panorama rap odierno gioca allo stesso gioco di rapper con dieci o quindici anni meno di J. Cole vincendo a mani basse sul piano dell’inventiva e del talento. È un vero peccato che una scommessa azzeccata con così tanta classe, abbia avuto così poca risonanza a queste latitudini.

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