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Charles Bradley – Black Velvet

2018 - Dunham Records
soul

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Tracklist

1. Can’t Fight The Feeling
2. Luv Jones
3. I Feel Change
4. Slip Away
5. Menahan Street Band - Black Velvet
6. Stay Away
7. Heart Of Gold
8. (I Hope You Find) The Good Life
9. Fly Little Girl
10. Victim Of Love (Electric Version)


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C’è sempre una certa dose di imbarazzo quando esce un disco postumo. Avete presente quando in autostrada vedete una di quelle eleganti macchine d’epoca e sorpassandola ammirate per un momento quella bellissima carrozzeria, quei fanali tondi e scorgete gli sguardi dei conducenti: belli freschi e coi capelli al vento e per un istante vi viene in mente il pensiero ricorrente su quanto era bello il mondo una volta quando non eravate ancora nati e vi chiedete perchè non avete visto quell’epoca, non l’avete vissuta? È la stessa cosa che può accaderci con gli indimenticabili maestri del Soul come Wilson Pickett o Otis Redding: quella musica non c’è più, non l’ha più fatta nessuno. A parte Charles Bradley che arriva negli anni 2010 con tre dischi ottimi, tanto da valergli il soprannome di “Aquila Urlante del Soul” e ora, la sua scomparsa lo fa entrare nel Mito direttamente dal portone principale.

La difficoltà, vi dicevo, arriva perché i dischi postumi non sai mai come prenderli, non sai se sono registrazioni scartate perché non abbastanza buone da finire nell’album oppure messe nel cassetto per il disco seguente. Uscito ad un anno dalla scomparsa, la prima cosa che mi fa drizzare i capelli è il titolo: “Black Velvet” – quale sforzo di creatività nell’ intitolare un disco postumo con un’immagine di un tendone nero, il sipario che si chiude, la morte dell’artista che però diventerà immortale grazie a queste pubblicazioni della serie the show must go on, a proposito: dato che i Queen oggi se li ricordano tutti, sempre meglio di quel titolaccio che fu “Made In Heaven”, uno dei padri fondatori delle block-busting uscite post-mortem. Non volevo divagare, voglio parlare di “Black Velvet”adesso. Anche se queste parole mi portano alla mente la Blue Velvet cantata dalla soave voce della Rossellini nell’omonimo e lynchiano film, sì, perché la versione di Tony Bennett chi se la ricorda?

Ho divagato di nuovo, ma lo faccio perché non posso guardare e non mi va di scrivere della copertina con tanto di foto in perfetta silhouette del povero Bradley che abbraccia il sole al tramonto di fronte alla tremenda periferia che lo ha inghiottito per 68 anni, perché “Black Velvet”, è vero, è il nome d’arte di Bradley quando, ancora sconosciuto, impersonava James Brown nei locali, questo non significa che sia una buona idea per il titolo. Dunque: questo disco è una buona sequenza di canzoni, messe nell’ordine migliore possibile per creare un album, ma il risultato finale non è un album, non è un progetto, perciò non può avere la pretesa di presentarsi come tale, con l’umiltà dei saggi e la franchezza dei coraggiosi che caratterizzavano l’autore, bisognerebbe mettere sotto a quell’orrendo titolo una scritta tipo “B-Sides & unreleased tracks”.

Nel caso di “Black Velvet”ascolteremo 10 pezzi, favolosi e scartati dagli album precedenti, a parte le due cover di Neil Young e Nirvana che erano presenti nella ristampa dell’ esordio “No Time for Dreaming”, e diremo: “Sì, ben venga il materiale inedito”, ma l’Aquila Urlante non c’è più e questa è una notizia che non può essere digerita con una semi-raccolta di inediti perché Charles Bradley era proprio il personaggio che assolutamente non doveva lasciare il panorama musicale, era necessario che rimanesse e che scrivesse ancora parecchio materiale e quindi, davanti a questa ingiustizia, torneremo ad ascoltare i suoi tre capolavori che fece uscire in vita, andremo a ricercare quella macchina d’epoca perché quella macchina d’epoca è passata, o meglio, è arrivata all’improvviso e non abbiamo avuto il tempo di guardarla bene, di vivere con lei parte del nostro tempo, l’abbiamo superata in fretta e non la rivedremo più!

E, lasciatemelo affermare, “The Screaming Eagle Of Soul” sarebbe stato il titolo azzeccato.

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