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Tyler, The Creator – IGOR

2019 - Columbia
alternative hip-hop

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Il senso del grottesco e una certa predisposizione alla stranezza, contraddistinguono Tyler sin dai primissimi passi mossi in quel sadico tritacarne che è il mercato del rap americano. Il ragazzone della Costa Ovest ha sempre saputo come non fare dimenticare della propria esistenza al secondo ascolto: voce inconfondibile, dimestichezza col pianoforte e un notevole tasso di originalità nel firmare le produzioni. Questa determinazione a risultare stravagante e fuori dagli schemi a tutti costi però, quando non maneggiata con cura rischia di evocare l’odioso sapore della forzatura.

Aveva già fatto fare il pieno di punti interrogativi lo scorso Novembre, con un improbabile EP il cui concept era la fiaba natalizia del Grinch. Altrettanto se non ancora più inspiegabile potrebbe risultare “IGOR”. Cominciamo col chiarire che, come esplicitamente dichiarato dall’autore, non si tratta di un disco rap. Non ci sarebbe niente di male, anzi, ben venga un po’ di sana spregiudicatezza nel rimescolare le carte in tavola. Così come è tutt’altro che pratica inconsueta, il fatto un beatmaker decida di confezionare un album (quasi) interamente strumentale. Purtroppo in questa sede, manca il senso di compiutezza riscontrabile ad esempio in svolte inaspettate come il magnifico collage jazzistico di El-P, la virata country/blues di Everlast o il (discutibilissimo) disco indie rock di Cage.

A ben pensarci, il difetto maggiore di “IGOR” è suonare molto più simile a un’accozzaglia di bozze riposte in un hard disk e mai più lavorate che a un album vero e proprio. Un po’ come i prodotti del compianto XXXTentacion del quale se vogliamo, rielabora a suo modo anche la volontà di focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore più sul piano emotivo dei brani, ponendone la forma/sostanza più strettamente musicale in posizione secondaria. In seguito ai gossip e ai dissing succedutisi a un coming out più suggerito che dichiarato, l’artista pare voler mettere in discussione il proprio personaggio, spesso accusato di omofobia, e di conseguenza la proposta musicale ad esso associata. Per farlo si affida a una raccolta di pezzi il cui filo conduttore è un difficile rapporto di amore/amicizia, presumibilmente con un altro ragazzo. Tutto potenzialmente interessante e condivisibile, non fosse che il risultato finale non brilla particolarmente da nessun punto di vista.

Un vero peccato considerando che la partenza è la migliore auspicabile per un’operazione del genere. IGOR’S THEME è una summa articolata delle molte anime di Tyler: beat squisitamente hardcore, inframmezzato da distorsioni sintetiche e tentazioni pop, magistralmente sorrette da un’invenzione pianistica tanto semplice quanto efficace. Da qui in poi si fa molta fatica a rimanere interessati a quanto si ascolta. RUNNING OUT OF TIME e A BOY IS A GUN suonano sulla falsariga dei momenti più morbidi (ma potremmo tranquillamente dire melensi) di “Flower Boy”, risultando però decisamente più statiche, controproducente in un lavoro che punta quasi esclusivamente sui suoni. La seconda è inoltre uno dei rari momenti corredato da un testo vero e proprio, risultando deludente anche da questo punto di vista.

Medesima sensazione di stanchezza che emerge da EARFQUAKE, saggio di quell’RnB plasticoso un po’ retrò che tanto piace oltreoceano ma che nel momento in cui prova ad essere altro, produce lo spiacevole effetto “né carne, né pesce” che è un po’ la croce di tutto il disco. Il rap pitchato di NEW MAGIC WAND potrebbe (e forse vorrebbe) ricordare i deliri di Madlib nei panni del suo alter ego Lord Quas, risultando effettivamente uno dei rarissimi momenti in cui il disco mostra un po’ di attributi, complice un beat robusto e scomposto. Ci pensano però le pacchianissime velleità danzerecce di I THINK, la mancanza di nerbo di I DON’T LOVE YOU ANYMORE, GONE GONE/THANK YOU, stucchevole e puerile oltre ogni limite tollerabile e la sconclusionatezza alquanto soporifera di ARE WE STILL FRIEND?, a smorzare qualunque accenno di entusiasmo.

Se volessimo tracciare un paragone interdisciplinare, potremmo dire che “IGOR” è la versione hip hop della celebre “Merda d’artista”. Con la non trascurabile differenza che nel proprio contesto, quella di Piero Manzoni era una provocazione graffiante, supportata da una visione artistica definita attraverso diverse opere. Qui siamo più che altro davanti a un delirio d’onnipotenza, tutt’altro che inusuale nell’ambiente a cui si rivolge, ma la pretesa il pubblico debba sorbirsi in maniera acritica qualunque sciocchezza assecondando un ego smisurato, mi sembra francamente eccessiva. Hai voglia a parlare di “ampliamento delle vedute” e “crescita musicale”, quando ti ritrovi tra le mani l’ennesimo figlio deforme della svolta kitsch di Kanye West.

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