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Phoebe Bridgers – Punisher

2020 - Dead Oceans
songwriting / folk

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Tracklist

1. DVD Menu
2. Garden Song
3. Kyoto
4. Punisher
5. Halloween
6. Chinese Satellite
7. Moon Song
8. Savior Complex
9. ICU
10. Graceland Too
11. I Know The End


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A tre anni di distanza da “Stranger In The Alps“, è tornata una delle più belle realtà del folk a stelle e strisce: Phoebe Bridgers. A onor del vero, nel periodo di mezzo tra il suo debutto discografico e il nuovo “Punisher“, l’artista losangelina non ha conosciuto pause: prima l’album “boygenius“, figlio dell’omonimo progetto che la vede protagonista con Julien Baker e Lucy Dacus, poi il lavoro firmato Better Oblivion Community Center, il duo formato da Phoebe Bridgers e Conor Oberst dei Bright Eyes. 

Con “Punisher“, pubblicato a sorpresa con un giorno d’anticipo rispetto alla data prevista, Phoebe Bridgers sceglie di riprendere esattamente da dove aveva lasciato, senza rivoluzionare granché una proposta che tre anni fa aveva ottenuto il plauso pressoché unanime della stampa di settore: l’indie rock più educato abbraccia ancora l’emo-folk, in uno scenario sospeso, leggermente rarefatto, su cui si stagliano versi profondamente evocativi, che stavolta indagano e scandagliano il deterioramento delle relazioni e la loro fine e che, come affermato dalla stessa artista, molto hanno attinto da Joan Didion. 

Rimangono pervasive le note malinconiche e le atmosfere decadenti, arricchite da una strumentazione più corposa, che va oltre lo schema essenziale voce e chitarra di “Stranger In The Alps“: ci sono le tastiere e la batteria, ma anche fiati e archi e un grande numero di collaboratori, a impreziosire un sound che conserva intonso le sue idee forti, compresa la sua apparente essenzialità, il suo vibrante intimismo e la sua surreale delicatezza. Sono – probabilmente – gli elementi chiave per far apparire “Punisher come il naturale prosieguo di “Stranger In The Alps e per dare maggiore vigore a quei riverberi timidi e brumosi che percorrono l’album (quasi) senza soluzione di continuità e che esaltano il timbro caldo della californiana. 

Punisher” si schiude sulle note noir quasi cinematografiche di DVD Menu e comincia a sedurre con Garden Song, disarmante per delicatezza ed efficacia. Kyoto, pubblicato come singolo, è il principale uptempo dell’album, nonché l’episodio più muscolare del lotto, mentre la successiva title track, a cui ha collaborato Conor Oberst, rappresenta uno dei momenti più emotivamente coinvolgenti e impegnativi: la dedica – esplicita – a Elliott Smith, uno dei principali riferimenti artistici di Phoebe Bridgers, è tutt’altro che casuale. Nella sua fase centrale, “Punisher” propone in fila Halloween, che non si allontana troppo dalla precedente e Chinese Satellite, che guarda ai National, tuttavia il vero epicentro emozionale del disco coincide con Moon Song: crepuscolare e dolorosa, finanche lancinante, ma in qualche modo fulgida nel suo incedere. Mentre “Punisher” si approssima alle sue note conclusive, Savior Complex cresce lentamente fino a sfumare in una deliziosa coda orchestrale e ICU flirta con il pop, ma il vero sussulto arriva con Graceland Too e il suo country-folk pastorale, sospeso tra banjo e violini, e impreziosito dalle voci delle Boygenius: Julien Baker e Lucy Dacus. Le due colleghe partecipano anche a I Know The End, segnata dalle sferzate agli Stati Uniti di Donald Trump e da un climax intenso e claustrofobico: il finale migliore, forse quello necessario.

A ventisei anni non ancora compiuti, Phoebe Bridgers abbandona ufficialmente lo status di promessa e si consacra in maniera definitiva sullo scenario (emo)folk internazionale, sempre più popolato (e dominato) da voci femminili. Ciò che la rende simile ad altre illustri colleghe è la capacità di aver elaborato e definito uno stile autentico e personale: Phoebe Bridgers, oggi, somiglia solamente a se stessa e “Punisher“, pur senza cercare particolari innovazioni, è un’altra bellissima espressione di questo genere, oltre che uno degli album più belli di questa stagione musicale.

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