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J. Zunz – Hibiscus

2020 - Rocket Recordings
ambient / elettronica / psych

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Tracklist

1. Y
2. Four women and darkness
3. Jupiter
4. 33:33
5. White labels
6. Overtime
7. America is a continent
8. Ouve me

 
 
 
 
 
 
 
 

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La cantautrice messicana Lorena Quintanilla torna con un disco da solista. Dopo Silente, che risale a tre anni fa, per Rocket Recording esce Hibiscus, il punto d’arrivo (e di ripartenza) di un percorso personale e professionale che negli ultimi tempi era diventato un po’ complicato. J. Zunz, questo il moniker scelto da Lorena, è l’espressione più intima che la stessa songwriter mostra – insieme ad Alberto Gonzalez – nel duo Lorelle Meets The Obsolete, freschi di uscita nel 2019 con l’ottimo De Facto.

Proprio al 2019 risalgono le registrazioni di Hibiscus, in un momento in cui Lorena è contenta di operare in duo, ma al contempo ha urgenza di comunicare i suoi stati d’animo. In questi mesi ha riascoltato il disco con il proverbiale senno di poi, guardandolo da lontano al termine di una crisi personale generata – a suo dire – dal tradimento di una persona di cui si fidava. La crisi ha generato incertezza e frustrazione, fonti di ispirazione nella musica che ascoltiamo nel disco.

La scintilla per iniziare a scrivere è scoccata di notte, durante la lettura di una biografia di John Cage. In particolare, Lorena si è soffermata sulla meditazione, realizzando l’importanza della semplicità. Non che Silente brillasse per pomposità, ma rispetto all’album precedente è stato fatto un evidente lavoro di sottrazione, mantenendo in vita un’elettronica minimale, quasi uno stato di trance.

La musica allora si fa terapia, un veicolo che assume tutto ciò che serve per uscire dalla negatività del momento. La stessa Lorena ha confidato di aver lavorato ininterrottamente pur di non mostrare la vulnerabilità dei suoi pezzi, che hanno il compito di mostrarla forte e senza paura, esattamente ciò che non era quando li ha scritti.

Si parte con l’ipnotico electro-gaze di Y, un tappeto di suoni omogenei rotto da un synth in tre tocchi. Sulla stessa scia si muove Four women and darkness, ma rispetto alla traccia precedente aumenta il tasso di psichedelia. La voce flebile di Lorena diventa un urlo strozzato in gola in Jupiter. Scioglievoli echi e giochi di voce si interpolano poi ai soliti synth in 33:33, un titolo che deve qualcosa al maestro Cage.

Le sonorità e in qualche modo i ritmi si fanno orientaleggianti in White labels, mentre in Overtime – complice un’atmosfera decisamente più rilassata – il peggio sembra essere alle spalle. L’impressione è confermata in America is a continent, dove Lorena accantona la fragilità delle prime tracce per far posto a una ritrovata energia. In chiusura, con Ouve me sembra esserci un’inquietudine consapevole, la voce è ferma: la protagonista può idealmente parlare della sua esperienza senza più farsi prendere dalle emozioni negative.

Hibiscus è leggibile sotto forma di concept album che racconta l’esperienza vissuta dall’autrice l’anno scorso. La prima parte è inquietudine e frustrazione, la seconda è di raggiunta pace interiore, mentre l’ultimo scorcio comunica determinazione e sicurezza.

Il tutto è messo in atto attraverso un’idea semplice, scarna. La voce di Lorena è eterea, canta e a volte quasi recita testi ermetici che esprimono i suoi stati d’animo. Il canovaccio musicale è destrutturato, a maggior ragione se raffrontato al disco precedente: c’è un synth che traccia tutte le linee e un sequencer che cadenza i suoni.

Il risultato finale è un disco intimo, urgente pur nella sua dilatazione dei tempi di uscita. Non conosciamo i motivi alla base della scelta di non pubblicarlo immediatamente, ma in fin dei conti è un bene, perché Lorena ha avuto modo e tempo per metabolizzare – e soprattutto superare – il suo momento critico. Può sfoggiare quindi il suo disco con orgoglio, rendendoci ancor più curiosi nei confronti delle sue opere future.  

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