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Jesu – Terminus

2020 - Avalanche Recordings
post rock / shoegaze

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Tracklist

1. When I Was Small
2. Alone
3. Terminus
4. Sleeping In
5. Consciousness
6. Disintegrating Wings
7. Don’t Wake Me Up
8. Give Up


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Non accennano a diradarsi le nebbie che avvolgono il mondo di Justin K. Broadrick. Lambiscono in un lasso di tempo eterno gli alberi e le foreste che continuano a comparire sulle copertine dei lavori targati Jesu e il cuore del suo fondatore e, da un po’ di anni a questa parte, unico abitante del faro che illumina un mare sempre più grigio.

Dopo la sbandata sperimentale (e leggermente inconcludente) di “Never” di qualche mese fa si torna a fare sul serio, lavorando quella materia difficile da maneggiare che è sempre stata l’animo leggiadro di questa creatura. Tornano ad essere protagoniste assolute le chitarre, come già sette anni fa, quando Jesu lasciò quella che per molto tempo sarebbe stata l’ultima impronta sul pianeta Terra, e lo fanno riesumando shoegaze e post-rock in parti uguali che si amalgamano in un’unica entità.

Sembra sempre più fragile ciò che si trova sotto la superficie inspessita dal tempo che passa, ma è un cristallo che non vuole infrangersi, che ancora resiste. “Terminus” è, letteralmente, “il confine”, da sempre liminale, come la nebbia di cui sopra, un refolo di vapore che si alza dal terreno e pian piano, salendo verso il cielo accieca, il sole è un riverbero che si espande nelle chitarre pure che si intrecciano angeliche tra di loro, e quando si fanno più pesanti la rabbia che ne traspare non è un ruggito bensì un fuoco che ancora brucia sotto la cenere, come se stesse lì per divampare invisibile a tutti tranne che a noi stessi, con la voce di Justin che, passano gli anni, ma non perde il tocco, con la penna che scava nel petto, intinta nell’oscurità dell’animo, con le ansie che danzano attorno al flebile soffio delle corde vocali, fino a perdersi nell’abbandono di onde lontane (chiudete gli occhi nella perlacea Don’t Wake Me Up e nella rimembranza di Jónsi di Alone e finirete naufraghi delle sensazioni)

L’elettronica è utilizzata con saggezza, irrobustisce il dolore, ne è compagnia fedele e non invitata di troppo come ben dimostrano brani come Consciousness, la voce processata come un ghost in the machine risvegliato da un lunghissimo torpore, e la finale Give Up, un tassello toccante e puro come la nebbia.

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