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shame – Drunk Tank Pink

2021 - Dead Oceans
post-punk / indie

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Tracklist

1. Alphabet
2. Nigel Hitter
3. Born in Luton
4. March Day
5. Water in the Well
6. Snow Day
7. Human, For a Minute
8. Great Dog
9. 6/1
10. Harsh Degrees
11. Station Wagon


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Come alcuni di voi ricorderanno, quando nel gennaio del 2018 uscì “Songs Of Praise” buona parte della critica (incluso il sottoscritto) gridò al “miracolo”. D’altronde come si fa a non prendere in simpatia gli shame? Cinque ragazzetti iperattivi e spettinati, armati di voce grossa e chitarroni post-punk, capaci di ammaliare con selvagge performance live persino il più navigato degli ascoltatori (mi riferisco a Kevin Cole, resident DJ alla KEXP radio di Seattle.

A esattamente due anni dal sopracitato debutto (e circa 350 concerti dopo), ecco quindi arrivare “Drunk Tank Pink“, sempre per l’attentissima Dead Oceans. Nonostante l’ambientazione sia sempre la stessa – i sobborghi di South London – questo secondo LP non potrebbe suonare più diverso dal suo predecessore, e ci mancherebbe altro: tra Brexit e COVID-19 gli ultimi ventiquattro mesi sono stati un vero e proprio incubo distopico, specie per i giovani musicisti dell’underground inglese.

Se “Songs Of Praise” brillava di onestà e semplicità post-adolescenziali, coi suoi riff fulminanti e i suoi testi ironici, “Drunk Tank Pink” sembra invece costruito per insinuarsi lentamente nel cervelletto, forte di una tessitura ben più matura, che richiede diversi ascolti prima di rivelarsi completamente all’ascoltatore. Prendete Snow Day e Station Wagon, i due brani più complessi del disco: in essi convivono dissonanze, ritmiche schizofreniche, spoken words e climax imperiosi dal piglio pseudo-teatrale. Insomma, un melange intricato e viscerale, ricco di dettagli, messo in piedi anche grazie all’aiuto esperto del produttore James Ford (Artic Monkeys, Foals).

Riconosciamo comunque le “solite” vecchie glorie – The Fall, Gang Of Four, Talking Heads – stelle fisse per gran parte della nuova generazione di rockers inglesi (e non solo), evidenti nei cori da stadio di Alphabet, nella groovyness innata di Nigel Hitter o ancora nell’irresistibile motoricità di March Day. Ma schitarrate a parte (l’energia indie-rock tutta Duemila di Water in the Well), “Drunk Tank Pink” brilla soprattutto per le pelli di Charlie Forbes (basti ascoltare la sopracitata Snow Day o l’eccezionale parentesi 6/1), alla maniera di “schlagenheim” dei coetanei (e amanti delle minuscole) black midi.

Il capitolo numero due della parabola shame non delude quindi le aspettative, anzi, apporta una nuova aurea di complessità all’intero progetto, che attendiamo con trepidazione di osservare dal vivo in tutta la sua ferocia. Siamo contenti di vedere che, proprio come i vicini di casa Fat White Family, anche Charlie Steen e compagni hanno deciso di “man up” e focalizzarsi sulla crescita di un proprio sound, strafottendosene di paragoni “scomodi” con IDLES e Fontaines DC. Perchè alla fine dei conti “Drunk Tank Pink” è proprio un gran bel disco, ideale per Millennial incazzosi in un pianeta alla deriva.

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