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Beach House – Once Twice Melody

2022 - Bella Union / Sub Pop
dream pop / psych

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Tracklist

Disc 1

1. Once Twice Melody
2. Superstar
3. Pink Funeral
4. Through Me

Disc 2

1. Runaway
2. ESP
3. New Romances
4. Over and Over

Disc 3

1. Sunset
2. Only You Know
3. Another Go Around
4. Masquerade
5. Illusion of Forever

Disc 4

1. Finale
2. The Bells
3. Hurts to Love
4. Many Nights
5. Modern Love Stories


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Quattro anni dopo, in quattro capitoli. Sono tornati Victoria Legrand e Alex Scally, meglio conosciuto come Beach House, una delle più belle realtà (dream) pop dell’ultimo ventennio, e lo fanno con quello che è il loro lavoro più lungo e difficile: “Once Twice Melody”.

Once Twice Melody” supera di quasi mezz’ora quel “Bloom” che, fino a qualche giorno fa, era il disco dal minutaggio più impegnato nella produzione del duo di Baltimora: comprende ben diciotto brani, pubblicati in quattro momenti diversi, a distanza di un mesetto ciascuno, e si esaurisce in oltre ottanta minuti. Non stupisce la scelta della pubblicazione in episodi, dunque, che sembra rispondere in parte all’esigenza di spezzettare una narrazione inevitabilmente impegnativa e dall’altra alla possibilità di valorizzarne maggiormente ciascun frammento. Alla fine, però, ciò che conta maggiormente è il disco nella sua forma complessiva e definitiva e la sensazione forte è che “Once Twice Melody” rappresenti l’esperienza più totalizzante che i Beach House abbiano mai offerto.

Sia chiaro, non c’è alcuna rivoluzione: l’autoproduzione del duo non porta in dote cambiamenti radicali e non allontana da quel mondo pastellato e onirico di cui i Beach House sono ormai fidati custodi. A parte un leggero decentramento della chitarra, in favore di un (prezioso) ensemble di archi che a tratti sembra accompagnare verso traiettorie cinematografiche, c’è, più o meno, tutto ciò per cui Victoria Legrand e Alex Scally hanno conquistato critica e pubblico in questi tre lustri abbondanti di attività.

Il primo capitolo è rappresentato da un quartetto di brani dalla scrittura astratta ed espressionista, se volete anche meno afferrabile del solito: inaugurato dalla titletrack, morbidamente ipnotica anche grazie a una melodia irresistibile e suggellato dal pulsare intenso e dalle tonalità calde di Through Me, è già espressione del primo piccolo miracolo compositivo dei Beach House, grazie a una Superstar che, pur indossando un abito sintetico, trascina il dream pop verso ambientazioni spaziali e si lascia cullare dall’eleganza di orchestrazioni cristalline. Il resto lo fa Pink Funeral, che non intende affrancarsi da quegli scenari: c’è però una chitarra blueseggiante nel finale, il contrappunto ideale all’incedere degli archi.

In quel gioco di contrasti fra l’incontro e lo scontro nelle relazioni, fra l’idillio di un amplesso e il suo sgretolamento, fra la prossimità e la distanza che è la narrazione complessiva di “Once Twice Melody”, il secondo capitolo comincia davvero a esplorare sensazioni meno rasserenanti: il vocoder filtra la voce di Victoria in Runaway e accompagna verso i saliscendi smussati di ESP, uno degli epicentri emozionali del disco grazie a una composizione sospesa su cui levitare, e le aperture luminose di New Romance, espressione ideale della brama di un’avventura altra e diversa, ma con un cuore che non ha del tutto smesso di lacrimare. Le pulsazioni sintetiche di Over and Over sono il ponte verso un quintetto di brani leggermente più tradizionali nella discografia dei Beach House, ma che non perdono nulla della loro grazia e della loro carica emotiva.

Sunset soffia ventate di nostalgia, in un’atmosfera in tensione fra il mellifluo e il crepuscolare, ma con qualche sfumatura cinematica incastonata fra stratificazioni di rara potenza. Nel suo terzo capitolo, è soltanto Masquerade a suggerire elementi di novità: un viaggio interstellare, suoni vagamente extraterrestri, e brevi passaggi che trasudano una certa inquietudine. Funziona anche tutto il resto: una specie di porto (più) sicuro dove ritrovare Victoria e Alex in una veste appena più familiare, ma senza che nulla della magia creata fino a quel punto possa scalfirsi. Da un lato gli arpeggi sognanti di Only You Know, dall’altro i ricami tanto rarefatti da divenire impalpabili – si legga in senso letterale, senza connotazioni negative – d’organo di Another Go Around, fino all’ennesima costruzione adesiva rappresentata da una melodia destinata a penetrare sottopelle come un ago: Illusion of Forever, con la sua delicatezza, è un altro momento per cuori forti.

L’ultimo capitolo di un disco che, a questo punto, comincia già a somigliare a un’opera granitica, un lavoro paradigmatico in una carriera già ampiamente consacrata, è pure quello più intimista: altri cinque brani, a partire dalla scia di polvere di stelle di Finale e da una ballad che astrae dal tempo e dallo spazio (The Bells), passando per il romanticismo tanto essenziale quanto urgente di Hurts to Love, per arrivare a una conclusione all’altezza degli oltre settantacinque minuti precedenti. Many Nights prima, un pezzo da manuale di dream pop classico, Modern Love Stories poi: non soltanto un punto esclamativo in termini di mero lirismo, con la stessa intonsa emotività, ma anche il punto d’incontro ideale fra l’orchestrale e il sintetico, fra corde di chitarra accarezzate dolcemente e stratificazioni da sentire con più di un senso umano, ma puntando il naso all’insù a osservare il firmamento.

Non è semplice immaginare il ruolo che “Once Twice Melody” interpreterà all’interno di una discografia fra le più belle di questo millennio. Ciò che è certo, però, è che il duo di Baltimora ha offerto una prova enorme (anche) col suo lavoro più ambizioso: “Once Twice Melody”, allora, a differenza degli altri dischi, rischia di diventare lo spartiacque definitivo della carriera, un punto fermo da cui ricominciare con lettera maiuscola e a capo. In diciotto brani, condensati in un’ora e ventiquattro minuti, non c’è un singolo momento che appaia fuori fuoco: semplicemente, funziona tutto, dagli arrangiamenti orchestrali alle soluzioni più classiche, dalla voce alle stratificazioni, dalle melodie a volte tanto dolci da somigliare a un pugno nello stomaco a un lirismo che conosce vette d’intensità (forse) mai esplorate prima.

E allora, nell’attesa di capire cosa verrà dopo, è sufficiente poggiare “Once Twice Melody” sul piatto, spegnere la luce e lasciarsi cullare dalle note dei Beach House in un’espressione che forse potrà non diventare la più amata, ma che può legittimamente essere vista come la più scintillante.

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