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Interviste

Vedi alla voce empatia: intervista a Vanessa Bissiri

Foto: Eva Piredda

Uscito lo scorso gennaio su Segell Microscopi, “Empatica” (qui la nostra recensione) è il nuovo album di Vanessa Bissiri, all’esordio come cantautrice e produttrice dopo una carriera divisa tra teatro, danza, recitazione e performance basate sull’uso della voce. L’abbiamo incontrata per saperne di più sul suo lavoro.

Le linee guida di “Empatica” sono tracciate dai sensi. Insomma, oltre all’ascolto un disco da vedere, toccare, annusare e anche assaporare?

Si, ho cercato di fare un’esperimento, dove ciò che crei e lo spazio che abiti è fatto da tanti dettagli visibili e invisibili. Quando entri in un luogo conservi nel ricordo l’aroma, da dove e come entra la luce, i colori, ed una serie di altri dettagli che contribuiscono a generarti una sensazione e creano dentro di te una prima identità di quel luogo con cui entri in contatto. Per questa ragione con questo disco ho provato a mostrare alcune delle stanze che mi compongono con il loro contenuto. Eva Piredda mi ha accompagnata in questo percorso come professionista, abbiamo fatto un lavoro profondo sull’identità e su come tradurla in immagine in relazione alle foto che sono parte dell’esperienza musicale. Abbiamo pensato l’oggetto finale e ci siamo appunto immedesimate su cosa poteva sentire la persona nel toccarlo per la prima volta, abbiamo scelto e pensato ogni singolo dettaglio, dalla carta per la stampa delle cartoline, alla stoffa e alla piccola sorpresa aromatica che trovate dentro al formato fisico del disco. Ha giocato a nostro favore una grande relazione di amicizia e conoscenza di molti anni.

Empatia è immedesimazione, coinvolgimento. Da non empatico ti chiedo se una persona “Empatica” provi emozioni più complete se vede ricambiate le proprie sensazioni o non cambia nulla.

Il nostro cervello si predispone all’empatia gia dai primi mesi di vita, poi si sceglie o si è indotti a coltivarla e praticarla; oppure in certe persone avviene come atto spontaneo, una maniera di guardare vedendo, una lente di ingrandimento; Ritrovo quest’azione di entrare dentro qualcun’altra/o in alcune esperienze teatrali, nel lavoro sul personaggio, se chiudi gli occhi e pensi di trasferiti in un altro corpo, con un altra pelle, un altro respiro, un passo, una voce diversi e fai quell’esperienza puoi sperimentare in parte un altro corpo e praticare l’immedesimazione. In generale, per praticare l’empatia bisogna voler schiacciare un tasto che in maniera immediata crea il contatto con l’altro e rende quella comunicazione la cosa più urgente e importante senza interferenze; a volte abbiamo voglia a volte no, pero è uno strumento per costruire, creare, comprendere piuttosto che avere paura o risentirci, in questo senso posso pensare che scegliere la strada dell’empatia ci porti verso un cammino emotivo pieno.

Otto canzoni registrate e incise in presa diretta, senza orpelli e strutture particolari: ha prevalso l’urgenza comunicativa o la voglia di semplicità?

Mi sono cercata, forse ho trovato delle cose di me, in genere parto da una sensazione, da un ricordo, da un gesto che conservo nella memoria del corpo e poi si costruisce una storia, poi il gioco è incontrare o ricalcare il filo già presente, le canzoni hanno sempre un filo che le lega.

Dalla Sardegna alla Spagna con biglietto di ritorno, ci racconti cosa ti ha spinto ad andare all’estero e quali esperienze hai fatto?

Avevo bisogno di essere sola con il mondo e vedere bene in faccia una sensazione di nulla che mi portavo dentro, avevo bisogno di ingredienti diversi, ero già acqua e roccia della Sardegna, avevo bisogno di vivere altre esperienze, di respirare altre proposte, soluzioni, umori. Non so, essere lontana dalle radici a volte e come se ti desse il permesso di cambiare. Gli esempi di altre culture, altri modi di prendere la vita, mi hanno aiutato a trovare un luogo dentro di me dove sentirmi a mio agio, o un po’ più a mio agio.

Quando si lascia la propria terra si è sempre divisi tra arricchimento (personale e professionale) e nostalgia di casa. E’ stato così anche per te o c’è dell’altro?

Esattamente queste parole. Mi sono sempre sentita divisa e nostalgica e nonostante tutto pensavo che non sarei mai ritornata.

Foto: Eva Piredda

Cosa rappresenta per te la musica all’interno di un percorso artistico fatto di teatro, danza e performance vocali?

Un’ occasione. Un linguaggio. Mi sento sempre più lontana dall’appartenere ad una definizione, ho studiato tanto pero mi sento sempre che mi manca qualcosa, ed ogni volta di più ho voglia di mettere le mani in pasta su ciò che ho voglia di creare, li non ci sono parametri di perfezione e/o modalità, sto ancora cercando il mio posto. Avrei solo voglia di fare molti live con questo disco, perché condividere alimenta la voglia di crescere e migliorare, trasforma la tensione in un energia creativa e poi certe cose succedono solo in scena e te le porti a casa.

Sei stata attiva per diverso tempo in gruppo con il progetto Dinatatak, ad un certo punto è arrivata la svolta solista. Raccontaci questo passaggio.

Eravamo stanchi di provare a farcela, oltretutto con un prodotto che aveva un live efficace e divertente, eravamo assolutamente imperfetti musicalmente pero molto originali e con un energia forte in scena. Quindi poi ci siamo sciolti, sono diventata mamma, ho fatto un percorso di studi musicali che avevo voglia di affrontare e poi mi sembrava di non trovare dei musiciste/i, fino al momento in cui ho formulato diversamente la mia richiesta: cerco persone con cui dire delle cose esplorando insieme come dirle attraverso la musica e delle canzoni che ho scritto. Cosi sono arrivate le persone che mi hanno accompagnata e hanno creduto in questo mio passo. Mario Maeso con cui abbiamo iniziato ad arrangiare i pezzi a duo, poi è arrivato Giancarlo Scevola con cui avevo suonato in passato, Coco, batterista dei Dinatatak, con cui abbiamo prodotto il disco, e Sergio compagno del conservatorio con cui abbiamo collaborato dal primo momento. Tutte persone di grande sensibilità, ascolto e creatività. Ed anche persone con cui ci si vuole un gran bene. Diciamo che per fare questo passo con pochi soldi c’era bisogno di molto amore, senza di loro e la mia famiglia non ce l’avrei fatta neppure per sogno.

“Empatica” ha due anime, una nostrana e una iberica: c’è un paese che vorresti visitare e cantare in futuro?

La Francia, c’è qualcosa nel suo suono di questa lingua che mi ammalia.

In un disco così, che significato assume un pezzo “alieno” come Up Through The Air?

Alieno, parola perfetta; La mia parte aliena, che parla un’altra lingua, che ha una logica diversa e non la spiega perché non c’è niente da spiegare.

Nel corso del disco si ascoltano omaggi ai più grandi artisti italiani, quelli che hanno fatto la storia della nostra musica. Quali sono quelli che più ti hanno ispirato in generale e nel concepimento di “Empatica”?

Mi hanno ispirato e nutrita in parole, suoni, interpretazione, personalità, trasparenza Cristina Donà, Giuni Russo, Battiato, Carmen Consoli, Fiona Apple, Bjork, Mon Laferte, El Kanka, Salvador Sobral, quando mi appassiono ad artiste/i che sono anche grandi persone mi sento profondamente grata.

Come valuti la tua prima esperienza plenaria (passami il termine) tra scrittura, canto e produzione?

Sono stanca ma contenta, avrei fatto delle cose diversamente ma ci vuole una produzione per poter curare i dettagli, io ho fatto tutto quello che ho potuto con gli strumenti che avevo, con molto sforzo.

Pensi di ripeterla in futuro?

Mi piacerebbe ma può essere che la forma non sarà quella di un disco, beh…in fondo neppure “Empatica” ha un disco fisico.

Un’ultima sui live: dove sarà possibile vederti nei prossimi mesi?

Per il momento vi aspettiamo al Teatro Astra a Sassari il 6 di aprile alle 21:00, e chissà che questa chiacchierata non ci porti l’attenzione di qualche bella rassegna che abbia voglia di invitarci

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