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The Ocean – Holocene

2023 - Pelagic Records
post metal / trip hop / ambient

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Tracklist

1. Preboreal

2. Boreal

3. Sea Of Reeds

4. Atlantic

5. Subboreal

6. Unconformities (feat. Karin Park)

7. Parabiosis

8. Subatlantic


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È sufficiente cambiare metodo compositivo per trovarsi catapultati in un’altra realtà. Lo sperimentano The Ocean che con “Holocene” hanno spostato il perno della propria produzione da chitarre, ritmiche e voce ai synth. Peter Voigtmann è l’architetto che si cela dietro all’album e i suoi bozzetti nati durante il lockdown duro, in piena tempesta depressiva e poi sviluppati successivamente alla terapia, fanno da base e collante per tutto il resto del collettivo (bonus, il tastierista utilizza i temi principali di questi brani per dare vita al solista “Limbus” con lo pseudonimo SHRVL).

L’evoluzione umana procede a scatti, lo diceva Colin Wilson e lo ribadiscono The Ocean, che nelle ere terrestri si sono addentrati sin dagli esordi. Si addentrano così nel proprio olocene a passo felpato, inquadrando nel microscopio storico tutto ciò che di danneggiato ha l’essere umano, dalle ridicole ipotesi di complotto che ci investono ogni giorno, alienazione, isolazionismo e dolore oscuro e incalcolabile. Per farlo si vedono “costretti” a tingersi di tinte fosche per passare in mezzo al disastro da buoni osservatori imparziali.

Non c’è via di mezzo tra massimalismo e il suo esatto opposto, i confini saltano e ciò che ne scaturisce è equilibrio perfetto. Addentrarsi in “Holocene” significa procedere al rallentatore e trovarsi sospesi in un liquido viscoso, grigio e privo di illuminazione. Il bastione che segna la svolta evolutiva interna all’album è Atlantic (e quei fiati che esplodono attorno alla coltre trip-post-hop-metal…), crocevia tra la prima metà morbida e morbosa, sequenziata da elementi eterei in cui le chitarre non tuonano mai, tessendo trame che illuminano il cammino, dosano sentimenti contrastanti, e la seconda in cui il magma che ribolle nel sottosuolo si palesa in superficie, irrobustisce e cristallizza il sound, innalzando scudi metallici, facendosi accompagnare da lirismi inarrivabili (Karin Park conquista tutto il terreno della ciclopica Unconformities), mandando su di giri il motore immobile di un universo oscuro, organizzando gli equilibri intessuti fino a quel momento in bordate interpolando gli elementi più soft a deragliamenti elettrici che non lasciano incolumi, distruggendo ogni difesa emotiva messa in campo, il tutto sotto una volta di sintetizzatori che spazzano il cosmo.

Si parla, spesso a sproposito, di “dischi della maturità” ma, questa volta, è l’unico modo possibile per descrivere la quadratura del cerchio di questo collettivo di stanza a Berlino, passato da “una delle tante band post-metal in circolazione” a punta di diamante di un genere ormai standardizzato che incarna un’evoluzione che sembrava impossibile.

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