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A.A. Williams – Forever Blue

2020 - Bella Union
post rock / folk noir

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Tracklist

1. All I Asked For (Was To End It All)
2. Melt
3. Dirt
4. Fearless
5. Glimmer
6. Love And Pain
7. Wait
8. I’m Fine


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La canicola di luglio sale dalla strada fino alla mia finestra. Dovrei fare qualcosa, ma mi tira giù, in spire roventi. Premo play, “Forever Blue” comincia a girare e subito la temperatura della stanza si abbassa. Ho messo piede in un altro mondo.

Facciamo un passo indietro. A.A. Williams sembra essere uscita dalla bruma meno di un anno fa con un EP omonimo di rara, rarissima bellezza. Da qui l’ascesa tra i ranghi della musica che fa male al fianco di Cult Of Luna, Russian Circles, Explosions In The Sky e Mono, con i quali ha diviso i solchi di un disco. Già così mi aveva convinto, ma che dico, già così avevo perso la testa, se non fosse che durante l’isolamento del lockdown se ne esce con una cover disumana di Be Quiet And Drive dei Deftones (i quali pare le abbiano aperto un mondo in cui sentirsi inclusa). Ed è lì che ho smesso di ragionare con la testa.

A.A. Williams sembra giovane, eppure quando la senti cantare pare portare il peso del mondo rinchiuso nel petto, un mondo che però non pare essere il nostro, pronto a dischiudersi al solo aprirsi dell’ugola: “Esprimere a parole qualcosa ti fa sentire come se ti fossi liberato di un peso”. Si sente, perché i brani di “Forever Blue” paiono cadere pesanti per terra per poi librarsi in aria salvo tornare come pioggia torrenziale in un secondo momento, dapprima fredda e un attimo dopo calda come il sole d’autunno. 

Ogni pezzo è un picco emotivo differente, un abisso e un paradiso a se stante, racchiude un universo fatto di frammenti ultraterreni. Attimi in cui le ossa sembrano spezzarsi sotto un maglio folk-noir pesante come la volta celeste (Love And Pain) si trascinano strisciando nella polvere acustica (Wait), mentre la voce superna di A.A. lascia spazio a mostri provenienti dalle profondità della Terra (Fearless trova il suo demone nella voce di Johannes Persson dei Cult Of Luna). 

Il termometro sentimentale arriva ad esplodere quando il post-rock diviene manto brillante in cui avvolgersi, scossi da un’elettricità ascensionale che pare ripetersi all’infinito (l’immensa Melt rivolta i Sigur Ros e la loro magniloquenza) riempiendo ogni spazio possibile, per poi svuotarsi in ballate di lacrime e sangue (il peso di cui sopra che se ne va su I’m Fine, l’influenza di Chino Moreno su Dirt) lasciato a sgocciolare sulla terra brulla ma tutt’altro che arida di spianate che sembrano il risultato della collisione di cuori giganteschi (All I Asked For (Was To End It All)), lasciando in bocca un sapore antico e superiore a chiunque di noi.

Il caldo che provavo se n’è andato e il brivido che sento muoversi come un serpente di ghiaccio nelle viscere è il regalo più bello che potessi ricevere. Non esagero dicendo che erano anni che un disco non si prendeva con tanta prepotenza uno scampolo di anima, quella poca rimasta. Gliela lascio volentieri, perché A.A. Williams è solo all’inizio e so che tornerà a prendersi il resto.

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