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Motorpsycho – The All Is One

2020 - Stickman Records / Rune Grammofon
prog rock

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Tracklist

1. The All Is One
2. The Same Old Rock (One Must Imagine Sisyphus Happy)
3 The Magpie
4. Delusion (The Reign Of Humbug)
5. N.O.X. I: Circles Around The Sun
6. N.O.X. II: Ouroboros (Strange Loop)
7. N.O.X. III: Ascension
8. N.O.X. IV: Night Of Pan
9. N.O.X. V: Circles Around The Sun Pt.2
10. A Little Light
11. Dreams Of Fancy
12. The Dowser
13. Like Chrome


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Il treno dei Motorpsycho non rallenta mai e nel giro di tre anni completa la trilogia Gullvåg in cui la nostra band scandinava preferita si avvale dell’artista Håkon Gullvåg per la parte visuale e questa volta, la copertina è stata realizzata dall’artista espressivamente per l’album. Dopo “The Tower” e The Crucible, rispettivamente del 2017 e 2019 arriviamo al terzo capitolo con “The All Is One” concepito in due session insieme a membri dei Jaga Jazzist e alcuni dei musicisti norvegesi preferiti dalla band stessa.

Dopo questa ortodossa introduzione, facciamocene una ragione: non avremo più album come “Timothy’s “Monster” o “Trust Us”, ma il bello di seguire i Motorspycho è proprio questo e molto di più; proverò a spiegarlo in questo breve articolo.

Il progressive rock non ha mai toccato veramente le mie corde, a parte qualche album dei Mothers, ma è roba datata, in cui i riferimenti agli anni in cui è stata prodotta sono troppo evidenti, con tutta l’ammirazione per il genio assoluto di Zappa. Ma quello che differisce con i Motorpsycho è che i norvegesi sono una di quelle rare band che mettono d’accordo ascoltatori incalliti di generi diversi, riescono a fare lo stresso miracolo che Ramones o Motörhead hanno fatto, in quel caso, con punk e metallari, qui ci si mette d’accordo tra alternativi e prog rock e non solo .  E riescono, da qualche album a questa parte, a produrre pezzi che risulteranno identici tra trent’anni o più in quanto riescono a fondere quella vena alt rock con cui sono cresciuti e alcune ispirazioni progressive del passato senza risultare obsoleti neanche in un riff.

Lo dicono gli stessi Motorpsycho: di questo disco alla fine ci farete quello che volete, dipende da quanto a fondo vorrete andare, perché “The All Is One” prende spunto da letture di genere esoterico, è pieno zeppo di riferimenti mitologici, e di spunti immaginifici dalle antiche scuole dei Tarocchi e si sente subito nella title track  la volontà di differenziare terra e cielo, umanità da bestialità, The All Is One, tuttavia, non è il punto di creatività più alto dell’album infatti risulta un tantino giù di corda, diciamo che l’inizio dell’album parte un po’ debole. A parte che, parlare di un singolo pezzo e dargli un giudizio è dura, date le innumerevoli sfumature, infatti esso si riprende verso metà e ha dei picchi melodici memorabili nonché l’assolo di Magnus proprio lì a quei, forse un po’ canonici, 3/4 dalla fine, dove te l’aspetti; ma la stesura (melodica) di Sæther, degna della più vasta e ipnotica evoluzione sonora rimanendo nei tempi terrestri di una forma-canzone, la troviamo in The Magpie, forse il pezzo più godibile dell’album preceduto da The Same Old Rock (One Must Imagine Sisyphus Happy) che sembra uscita dall’indimenticabile “Black Hole/Black Canvas”.

Delusion (The Reign Of Humbug), una leggera e sognante ballata, ci introduce finalmente alla lunga sezione centrale di suite intitolate N.O.X. (I,II,III,IV e V), non so quanto ci ho messo ad ascoltarle tutte, forse una mattina intera, forse due giorni, insomma, posso dirvi che durante quell’esperienza il tempo si è fermato. I Motorpsycho si sono liberati della presenza ingombrante che impedisce il fluire degli eventi, che era quella della catalogazione, senza sfociare nell’inverosimile ma sempre tenendo presente un punto di vista umano,  che guarda all’infinito e vi scorge un’espressione di profonda intelligenza, di infinita dolcezza e, anche se non riusciamo ad andare a fondo dei significati iniziatici di “The All is One”, esso merita la nostra venerazione, perché si tratta di qualcosa di molto distante dal solito disco fruibile da noi ascoltatori di rock, punk rock, garage, sperimentale (sul serio?), pop, indie ecc.

“The All Is One” è un lavoro che ha alle spalle la cultura, quella autentica, quella per cui a un artista non basta saper suonare e avere una sensibilità particolare e buttar giù un pezzo, qui si tratta di arte con un bagaglio di conoscenza enorme, anni di studio, di letture, di vite votate alla ricerca del suono. Sæther e Magnus sono da considerare “auctor”, sono al pari di filosofi, poeti e compositori classici, ovvero assolvono a una funzione di esempio e testimonianza, la loro musica sta all’origine, e “produce, accresce, integra, amplia, rafforza, completa” l’insufficiente volontà o personalità di un altro. A patto che “l’altro” abbia la forza di apprendere poiché io, per esempio, come tutti voi, faccio parte di una cultura veloce, che non vuole la spiegazione di un auctor quando ascolta un cd ma qualcosa di più leggero, il nostro problema è che vogliamo parlare di musica senza conoscerla, senza sapere cos’è un’improvvisazione (il titolo Ascension vi ricorda qualcosa?) o cos’è la musica, avendo poi l’arroganza di affermare l’esatto contrario. E così finiamo per creare una “finta cultura”. La chiamiamo “controcultura” ma non è contro a un cazzo, è semplicemente finta, non ha dietro l’ombra di uno studio serio o di una ricerca, è sostenuta da persone non legittimate a farla crescere come vera e non ha i coglioni per evolversi. Per questo poi a 40 anni passiamo ad altro. Con “The All Is One” abbiamo l’occasione di fortificarci, di migliorarci.

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